
“Informazione, niente paura e far diventare la prevenzione del tumore al seno una routine”
Le due parole chiave dell’intervista con la dottoressa Anna Abate (guarda la videointervista), medico radiologo responsabile di struttura semplice di diagnostica senologica Ospedale San Gerardo-ASST Monza, sono informazione ed empatia. Prima di tutto l’informazione è necessaria per abbattere ansie e paure legate allo screening mammografico che consente la diagnosi precoce del tumore al seno, l’empatia è invece fondamentale per accogliere le donne il giorno dell’esame e farle sentire a loro agio e far capire che, quella visita, è una tappa determinante nel percorso della prevenzione. Ovviamente solo chi è esperto e lavora in contesti altamente specializzati può essere un punto di riferimento e prendersi davvero carico di tutto quello che ruota intorno a questo esame di screening nazionale.
Di cosa hanno bisogno le donne per tornare a occuparsi della loro salute dopo questa lunga parentesi pandemica?
Capire che l’informazione è fondamentale per la prevenzione: primo perché il fine dello screening è scoprire tumori estremamente piccoli anche non palpabili alla visita e curabili con chirurgia conservativa con un impatto estetico modesto e terapie post operatorie migliori rispetto a situazioni già avanzate; secondo perché c’è la possibilità di una prognosi migliore. Le donne hanno semplicemente bisogno di capire che si è ripartiti con la campagna di screening che si è fermata, anche se solo per un periodo breve nel 2020 durante il lockdown, e poi è stata solo rallentata nel 2021. Molte persone ricevono chiamate in ritardo, quindi non sono al corrente che sia ripartito lo screening, e molte hanno anche perso l’abitudine ad aderire a questo programma. Ormai presi da questa pandemia e poi dalle più recenti notizie di guerra, la salute della donna e la prevenzione hanno un spazio meno evidente e importante sui media e nell’informazione in generale. Più che disinformazione c’è tanta non informazione a partire dai primi livelli di assistenza sanitaria. Gli ospedali stanno cercando di riprendere tutte le visite e le prestazioni; in Lombardia a breve si lavorerà anche nel fine settimana, per colmare i ritardi accumulati in questi due anni.
Parliamo dell’esame di screening. Cos’è e come funziona il Programma nazionale-regionale?
Lo screening per il tumore alla mammella è un programma nazionale-regionale che è caratterizzato da una chiamata a tappeto di una fascia d’età di donne che va dai 45 ai 74 anni. L’ampliamento dai precedenti 50-69 anni è stato fatto poco prima che scoppiasse la pandemia. Questo è stato necessario perché il tasso di incidenza di questo tipo di tumore si è visto molto evidente anche dopo i 69 anni e, purtroppo, anche nella fascia pre 50 anni. Torniamo alla procedura dello screening: ATS ha la registrazione anagrafica delle donne che entrano in questo richiamo e invia una lettera nella quale si assegna l’appuntamento con giorno e ora e sede dove fare l’esame tenendo presente la residenza e quindi la struttura più vicina. Per aderire non serve una risposta, basta presentarsi in ospedale o nei centri accreditati il giorno e l’ora indicate sulla lettera di invito. L’esame viene acquisito da un tecnico di radiologia e non si ha contatto diretto con i medici, dopo una parte di accettazione con la raccolta dell’anamnesi quindi il medico valuta successivamente le immagini e nei casi dubbi può richiamare a una indagine di secondo livello la paziente ed eventualmente fare ulteriori accertamenti. La mammografia di screening viene eseguita, normalmente e senza indicazioni diverse del medico radiologo o senologo, ogni due anni.
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Per le donne sotto e sopra la fascia d’età indicata come di devono porre nei confronti della prevenzione?
Anche chi è fuori dalla fascia 45-74 anni deve fare prevenzione e periodici controlli. Lo stile di vita è fondamentale per l’incidenza di certi tumori e rientra in ciò che viene chiamata prevenzione primaria. Non va dimenticata la familiarità. Questo è un fattore da tenere presente: chi ha all’interno della famiglia un parente con un caso di tumore mammario o ovarico, spesso necessita di controlli anticipati e più ravvicinati nel tempo, che vanno stabiliti con un esperto, con un chirurgo senologo o con il radiologo che si occupa di senologia.
Che cosa si può dire sotto l’ampio ombrello della prevenzione? Abbiamo parlato di età, ma anche solo di mammografia finora: che altri esami ci sono?
Possiamo dire che sotto una certa età, sotto i 40 anni, non è indicata la mammografia perché la tipologia del seno è denso, cioè iperghiandolare dove la componente principale è la ghiandola, e questo può impedire una corretta valutazione del radiologo. In questi casi l’esame più indicato è l’ecografia. Secondo me, iniziando dai 30/35 anni, fare un’ecografia all’anno con l’autopalpazione del seno costante può essere un’ottima prevenzione. Poi dai 40 anni l’incrocio della mammografia e dell’ecografia permette di eseguire una prevenzione adeguata ed avere una diagnosi di maggiore certezza. Diverso il discorso per il seno meno denso, dove l’ecografia ha meno potere risolutivo con minore possibilità di differenziazione tra il tessuto sano ed il tessuto patologico. Da una certa età in su, può bastare anche solo la mammografia per avere tutte le informazioni e che servono per una diagnosi. Queste sono tutte analisi e considerazioni che spettano allo specialista e qui deve emergere il concetto che la prevenzione va fatta in centri di alta specializzazione dove c’è una breast unit, cioè un team multidisciplinare di esperti dedicato alla diagnosi e cura del tumore mammario che ogni giorno vedono molteplici casi.
Esistono nuove tecnologie che permettono esami efficaci, magari meno fastidiosi?
La risposta sincera è che l’alta tecnologia non va di pari passo con il miglioramento di questo aspetto, inteso il fastidio. Quello che serve nella mammografia è appiattire e assottigliare e rendere meno sovrapposti tutti i tessuti all’interno della mammella: questo è possibile solo con una compressione adeguata. In questo un ruolo importante è giocato da un esperto tecnico di radiologia che è in grado di ottenere un buon risultato minimizzando il fastidio per la paziente. Lo dico sempre: noi dobbiamo fare diagnosi e il dolore, più che altro un fastidio, è di pochi secondi sapendo che alla fine l’esame fatto bene è fondamentale per la prevenzione. Non deve però passare il concetto che “meno schiaccio”, quindi meno fastidio provoco alla donna, e allora migliore è l’esame fatto in quella struttura.
Casi particolari: donne con poco seno e donne con protesi al seno. La mammografia si fa anche a loro e, se sì, come si procede?
La mammografia si fa anche agli uomini, che non hanno la ghiandola mammaria. Ma il tumore al seno colpisce anche al maschile (circa l’1% di tutti i tumori al seno; Ndr). Più che lo schiacciamento, che è uguale per tutti, può essere fastidiosa la posizione. Non assocerei la parola dolore alla mammella piccola. Il tecnico esperto è in grado di far percepire meno fastidio. Nel caso di protesi additive al seno, per una questione estetica, quindi non post mastectomia, c’è la credenza popolare che non si possa fare la mammografia: assolutamente no, falso! Nei centri specializzati il personale è esperto e quindi permette di fare l’esame analizzando bene la ghiandola tenendo in considerazione le protesi. A queste pazienti è sempre necessario fare anche un’ecografia in aggiunta, perché lo studio protesico non è effettuabile con la mammografia.
Nell’era dell’estrema personalizzazione, anche in ambito terapeutico, quali sono i passi avanti della diagnostica soprattutto in chiave di prevenzione? L’AI rende già gli esami più efficaci?
Ancora siamo agli albori dell’applicazione dell’intelligenza artificiale nell’ambito senologico, ma si lavora tanto in fase di ricerca per valutarne le possibili applicazioni. Una delle più utilizzate e probabili future applicazioni dell’AI è l’utilizzo di CAD nell’ambito dello Screening, con il fine di ridurre la mole di lavoro per il radiologo non individuando ciò che potrebbe essere sospetto, ma eliminando la valutazione di casi francamente negativi, senza alcun elemento sospetto o degno di valutazione. Si andrà ad affiancare gli specialisti per fare un lavoro di quantità, ma la capacità ed esperienza dell’occhio di un esperto non credo si potrà mai sostituire. Diverso il discorso per arrivare ad una diagnosi corretta, dove l’AI si sta rilevando un grande e prezioso alleato: noi, per esempio, la stiamo utilizzando per la fusione di immagini derivanti da più metodiche con la finalità di agevolare la diagnosi con metodi sempre meno invasivi e renderla più precoce al fine di visualizzare tumori sempre più piccoli.
Quali sono le paure che vede nelle pazienti che arrivano a fare uno screening mammografico e sono sempre paure motivate? Come superare ansia e paure legate a un esame di questo tipo?
Purtroppo la maggior parte delle donne non ha ben presente il valore e lo scopo dello screening. Lo Screening è una modalità preziosa di diagnosi perché permette di individuare lesioni che non sono ancora clinicamente rilevabili. La maggior parte delle donne non ha ancora compreso che l’eventuale presenza di una lesione non clinicamente palpabile garantisce la possibilità di intervenire precocemente. Questo stato di ansia spesso è così elevato che in caso di richiamo per ulteriore valutazione (ciò che si chiama secondo livello), può essere vissuto come un vero e proprio dramma dando già assodate cose che devono trovare fondamenti diagnostici. Ma la prevenzione deve essere fatta con un altro spirito: non come una condanna ma come un’opportunità per rilevare lesioni ancora molto piccole con un basso impatto chirurgico, terapeutico e quindi psicologico e con una prognosi migliore. Bisognerebbe fare una grande campagna di informazione su larga scala con lo scopo di diffondere la cultura dello screening e della prevenzione spiegando anche nel dettaglio come funziona l’eventuale richiamo in caso di incertezza alla conclusione negativa dell’indagine a volte banalmente per un piccolo dubbio risolvibile in pochi minuti.